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Moellg: un Padre Nostro, un pugno a mio fratello e poi giù in pista

Se gli dici che le sue vittorie fanno notizia anche per via dell’età, lo ammette: «M’incazzo un pochino». Perché Manfred Moelgg avrà pure 34 anni, ma è dal 2004, dalle sue prime gare di Coppa del mondo che è sempre lì, tra i primi. Non a caso ha anche portato a casa in carriera un argento e due bronzi mondiali. Adesso che in Coppa del Mondo ha vinto a Zagabria, è arrivato secondo a Adelboden (ma i podi stagionali sono già tre con il terzo posto di Levi), il 34 enne di Brunico si trova a dover ricordare: «Non è che esco fuori ora; tra alti e bassi, con di mezzo pure qualche infortunio, sono qui da anni. Certo, poi mi fermo un attimo a pensare e mi accorgo che ho compagni di squadra con 13 anni meno di me. Allora mi ricordo che al mio debutto in Nazionale avevo Giorgio Rocca, che di anni in più di me ne aveva solo 7, e mi faceva un certo effetto. Ma l’età è solo un numero, non è quello che conta».

E che cosa conta allora, Manfred. Forse il fatto di avere lo sci nel dna con sua sorella Manuela anche lei in azzurro e suo fratello Michael che è il suo braccio destro?

«La famiglia aiuta tanto. E da quando Michael lavora con me, da sette anni ha grandi meriti in quello che sto facendo. Non è solo il mio skiman. È la mia ombra, anche un po’ il mio preparatore. E non è facile lavorare con tuo fratello. Sì, insomma: ci devi pensare due volte prima di mandarlo a quel paese. In assoluto poi non è facile lavorare con me».

Perché, quali sono i suoi peggior difetti e pregi?

«I pregi li lascio scoprire agli altri. Difetti: beh parlo troppo e sono molto pignolo».

E a che cosa pensa prima e durante la gara?

«È meglio non pensar troppo in quei casi. Se pensi, fai calcoli, perdi. Meglio allora pensare solo ad una cosa: attaccare. Allora vai alla grande».

Perché i pali stretti sono i suoi preferiti?

«Perché è la disciplina più completa dello sci. Ci vuole tecnica, tanta, come anche potenza».

Si è cimentato anche in discesa libera, velocità massima toccata?

«140, 145 km all’ora. Che per i miei 82 chili non sono pochi. Certo, poi c’è un Dominik Paris che ne pesa 105…».

Ha un albergo insieme a sua sorella a San Vigilio di Marebbe, riesce a occuparsene?

«Al Moellg Dolomites Residence per ora ci pensa di più mia madre. Ma è un buon ritiro per l’estate e poi, certo, una garanzia per il futuro».

E d’estate tra le sue Dolomiti, prepara la stagione sciistica pedalando sodo.

«Vero. La scorsa estate ho fatto anche importanti gran fondo, come la Maratona delle Dolomiti. Fino a 170 km con circa 3000 di dislivello. Mi piace molto il ciclismo. E mi deludo tanto però, quando saltano fuori i dopati».

Nello sci da discesa se ne sente parlare meno di doping a che cosa si deve?

«Qualche caso c’è stato. Per fortuna però nel nostro sport la tecnica conta più della resistenza, quindi il doping influisce fin ad un certo punto. Io sono categorico, sono per la radiazione a vita la prima volta che ti beccano».

Niente ritorni eclatanti dunque, come per esempio nel caso di Alex Schwazer, al di là del fatto che poi sia saltata fuori una seconda accusa, peraltro per molti assai dubbia?

«Non ne faccio un caso di un tale atleta o di un altro. Se ti dopi una volta per me vai a casa. Che senso ha, specie agli occhi dei giovani, che stai fuori per due anni, poi torni, sei ancora giovane, puoi rifarti una carriera come se nulla fosse successo! No, non mi piace».

A febbraio, dal 6, ci sono i Mondiali a Saint Moritz. Il tifo azzurro può contare su di lei?

«I Mondiali sono un appuntamento particolare, una gara secca. Meglio non pensarci troppo, per ora. Prima ci sono ancora gare di Coppa a cui tengo su piste strepitose. C’è Wengen, Kitzbuhel, Schladming».

Il suo rito al cancelletto di partenza?

«Sono cresciuto andando a Messa tutte le Domeniche. Un Padre Nostro ci sta sempre. Poi mentalmente a occhi chiusi, rivedo e ripasso il tracciato. Infine ci sta anche un bel cazzotto sulla schiena a mio fratello. E via».

Tra cazzotti e meditazione, cosa manca allo sci italiano sempre alla ricerca di un nuovo Tomba?

«Beh, uno come Tomba non manca solo agli italiani, ma a tutto il mondo, per quel mix di vittorie ed esuberanza esplosiva. C’è da dire che una volta si vinceva con tre secondi di vantaggio, ora con tre millesimi. Il livello oggi è sempre più alto. E vincere sempre più difficile».

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